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Monza Reale ti regala un racconto del corso di scr...

Monza Reale ti regala un racconto del corso di scrittura emozionale

Come promesso, Monza Reale ti regala un racconto scritto da un’allieva del corso di scrittura emozionale, tenuto dalla scrittrice Monica Marelli in collaborazione con la libreria Virginia&Co di Raffaella Musicò.

Si tratta di un corso in cui si è imparato a scrivere in base alle proprie emozioni, ascoltandole,accogliendole ed elaborandole: ecco quindi per te il racconto di Manuela Basso, bello, romantico e delicato, nel quale anche Monza diventa protagonista.

Corso scrittura emozionale 1 (1)

Manuela  si racconta:

“Sono nata a Mondovì in provincia di Cuneo nel 1975. Dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università di Torino mi sono trasferita a Milano, dove continuo a occuparmi di diritto nell’amministrazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Abito a Monza da otto anni: ho scoperto questa meravigliosa cittadina seguendo il Lambro in bicicletta. Ho deciso di abitare qui perché questo luogo ha una bellezza discreta e accogliente. È una nicchia in cui racchiudersi, ma allo stesso tempo è viva e piena di stimoli. È uno dei pochi posti in cui mi sono sentita subito a casa (un altro è Torino). L’ho scoperta quasi per caso, facendo una passeggiata in bici lungo il Lambro e mi sono innamorata dello Spalto Maddalena. Le anatre e i gabbiani e qualche airone di passaggio sono buoni vicini di casa”.

Monza Reale ha voluto ospitare il suo racconto non solo perchè riguarda la città di Monza, ma anche per dare spazio alla creatività delle persone, alla scrittura, alle emozioni e a chi ha voglia di mettersi in gioco.

Un altro corso di scrittura emozionale partirà nel mese di settembre: per info scrivere alla mail monica.marelli@gmail.com

Buona lettura!

The Poet’s Wife

“Oggi ho portato al Roseto la tua rosa.

L’ho lasciata sul piazzale, davanti al cancello del Serrone. L’ho abbandonata come un figlio: in silenzio, nella notte, sperando che nessuno veda.

Ho scritto su un cartellino il suo nome: The Poet’s Wife. Rosa categoria Shrub di David Austin. Anche le rose hanno un padre, dicevi.

Domani il giardiniere arrivando la prenderà con sé. Le darà acqua, concime e una casa. Starà bene. Con me non sarebbe rifiorita.

Come il mazzo di fiori in cornice, nel vetro sopra la toeletta di mia madre. Ne vedo ancora le tracce. Petali appassiti dal tempo, con i bordi frastagliati più scuri.

Troppo caldo in questa stanza.

Scrivo nuda seduta al tavolino bianco nello studiolo ricavato tra la dispensa e la lavanderia.

Rivedo le tue mani accanto alle mie, immobili sulla tovaglia provenzale.

Mi accarezzeresti in maniera nuova oggi?

Avrei le tue dita sulla pelle per la prima volta, ne sentirei il fruscio di carta crespa.

Hai rughe sul dorso delle mani e il palmo calloso dell’alpinista.

Sei uomo di montagna: non temi la fatica. Ti piace salire oltre le colline; su, lungo il greto sassoso dei torrenti, al di là delle ultime rocce, dove da un acquitrino sgorga il fiume: non sembra esserci ma c’è.

Come quello che tu provi per me.

Nella calura soffocante di questa giornata, le finestre spalancate a cercare corrente, immagino che nella tua mente ci sia un acquitrino per me.

Non è possibile, hai detto.

Quanto mi sono sentita vergognosa per quelle tue parole.

Sono uomo d’onore, dici. Uomo d’amor cortese.

E io non sono donzella.

Non sono regina.

Non sono aria.

Non sono aria pura per il tuo respiro.

Sono suono asfissiante e desiderio.

Non conosco il nome di tua moglie.

 

Non amo l’amore del mondo. Non amo. Non amo nessuno. Mi piace solo il suono della parola.

Ti amo.

Lo ripeto tornando a casa, a pomeriggio inoltrato, dopo il lavoro. Lo ripeto per sentirne il suono; per sentire se qualcosa si apre alle mie orecchie: se compare, anche soltanto intravisto, un volto oltre la nebbia.

Me lo ripeto la sera, a letto prima di dormire quando, spenta la luce sul comodino, ascolto l’ultimo treno allontanarsi lungo le rotaie pensando di sentire una voce: una pronuncia blesa, un leggero balbettio, un accento dialettale. Un segno qualsiasi che mi dica chi sei.

Lo ripeto ogni giorno quando, posata la penna e chiuso il registro, mi allontano dalle colleghe per mezz’ora e aspetto di veder comparire un’ombra vicino al marciapiede che mi segua o mi preceda. Un’ombra alta o bassa, lunga o stretta, con la pancia o senza. Aspetto di conoscere il tuo profilo che non vedo.

Se d’estate tu venissi…

Se d’inverno.

Se tra un anno.

Se tra un secondo.

Canto così per ore, in onore del nulla.

Non conosco il significato della parola amore. Non me lo dicono le scatole di cioccolatini, né i regali incartati con grandi fiocchi gialli.

Credevi potesse dirmelo una rosa?

C’è stato un tempo in cui pensavo di saperlo.

Pensavo che amare fosse inseguire. Inseguire con la smania di catturare e tenere con me.

Tu ti sei fatto farfalla. Sui prati fioriti a primule, al bordo della Villa, in primavera, tra i fiori di sambuco, il tarassaco e i tuoi starnuti.

Inseguirti è stata una corsa a perdifiato giù dai Resinelli, senza catene e senza ruote. Ma non potevo tenerti in un barattolo, neppure con il tappo di sughero e i fori per respirare. Non so come respirano le farfalle.

Ho pensato allora che amore fosse seguirti. E mi sono incamminata lungo il sentiero alle tue spalle.

Tu ti sei fatto viandante e con te ho visitato paesi.

Arrivavi presto al mattino a prepararmi la strada: a spalare la neve, a tracciare la via. Io ti seguivo a distanza. Ho consumato almeno due paia di scarpe sulle tracce di te, ma non ci siamo mai incontrati.

Ho conosciuto uomini oscuri con voci dolcissime che mi cantavano ninna nanne di sogni per non farmi andare via. Ho seguito i tuoi scarponi chiodati fino alla porta di tutti i rifugi, oltre la Grigna e il Resegone, oltre le montagne che da qui non riesco a vedere e sempre ho aspettato che discendessi il crinale prima di salire io.

Ho aspettato.

Ho aspettato seduta su uno scoglio a Fiascherino che tu finissi la traversata a nuoto e sparissi a Porto Venere. Ho aspettato che ti voltassi per guardare se ero ancora con te. Ma tu non ti sei voltato mai.

Così mi sono fermata. Non potevo volare e non volevo più camminare.

Non avevo più amore da dare.

Allora ti sei fatto mendicante e sei passato davanti alla mia porta a chiedere.

Non avevo più nulla da dare.

Le mani vuote, bruciate dal sole e i tuoi occhi come laghi mi guardavano oltre la soglia. Non avevi più parole per me.

Ci siamo guardati in silenzio.

Ho pensato allora che amore fosse donare. Ti ho donato me stessa.

Te ne sei andato a mani vuote” (Manuela Basso)

Corso di scrittura emozionale a Monza


Monzese doc, curiosa scopritrice della propria città, amante degli eventi particolari, romantica cittadina che adora girare sulla sua bicicletta alla scoperta di cose nuove da condividere.

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